“Ha il clitoride come un tappo di penna Bic mangiucchiato”: La Visita Ginecologica Che Svela il Tabù e la Crisi Anatomica Italiana

Le parole di Massimo Cacciari non sono mai state dolci o concilianti. Filosofo di fama internazionale, intellettuale pubblico per vocazione e per storia, ex sindaco di Venezia e figura che ha attraversato la Prima e la Seconda Repubblica con l’autorità di chi osserva i fenomeni politici da una prospettiva che va oltre la contingenza. Quando Cacciari parla, la politica si ferma, non tanto per l’eco mediatico immediato, quanto per la spietata lucidità che la sua analisi porta con sé. E l’ultima bordata lanciata contro il Partito Democratico non rappresenta una semplice critica di parte, ma una vera e propria autopsia politica che squarcia il velo sulla crisi identitaria più profonda della sinistra italiana.

La sua accusa è concisa, brutale e definitiva: “Il PD non è un partito. È un insieme di avanzi di partito il cui unico collante è il potere. Devono resistere al governo per esistere”. Questa frase non è solo un giudizio, ma la diagnosi di un male che affligge la più grande forza del centrosinistra da oltre un decennio. Cacciari non usa mezze parole ; la sua disamina del Partito Democratico, che pure in passato è stato la sua casa politica, è quella di un osservatore che, pur distaccato, non può fare a meno di denunciare la nuda e cruda verità.

L’Anatomia di un “Insieme di Avanzi”

 

La metafora utilizzata da Cacciari è potentissima: “un insieme di avanzi, avanzi di partito messi insieme come resti di piatti diversi buttati nello stesso contenitore solo per non lasciare nulla in giro” . Questa immagine evoca immediatamente la “fusione a freddo” che portò alla nascita del Partito Democratico oltre 15 anni fa. L’idea era ambiziosa: creare una grande forza di centrosinistra, moderna e capace di rappresentare l’Italia post-ideologica. Nel suo grembo dovevano confluire le eredità storiche e i frammenti dei vecchi apparati: gli ex comunisti del PDS/DS, gli ex democristiani di sinistra della Margherita, e altre schegge di formazioni che avevano plasmato la Prima Repubblica.

Tuttavia, come sottolinea il filosofo, l’ambizione non ha mai trovato una vera identità. Quella che doveva essere una sintesi rigeneratrice si è rivelata una mera somma algebrica di componenti irrisolte, di culture politiche non amalgamate. Il risultato? Un “contenitore senza anime”, incapace di rigenerarsi o di produrre un progetto coerente e autonomo. Il collante, dunque, non è un’idea comune, un’utopia, o una visione di lungo periodo, ma la semplice e cinica “necessità di non sparire”. L’identità del PD è diventata la sua stessa sopravvivenza, un circolo vizioso che ne ha prosciugato l’energia propulsiva.

 

La Sete di Potere: “Resistere per Esistere”

 

Il secondo pilastro dell’analisi di Cacciari è l’ossessione per il potere, l’unico vero “collante” rimasto. Il PD, secondo il filosofo, ha vissuto per anni di “rendita” : la rendita degli elettori fedeli (ex comunisti e cattolici di sinistra), la rendita dell’apparato burocratico e istituzionale in cui si è sempre saputo muovere con disinvoltura, e la rendita delle reti di potere consolidate.

Questa dipendenza dal sistema ha reso il PD un partito sempre disponibile, sempre pronto a rispondere all’appello del Quirinale, a governare in “mille forme diverse”—governi tecnici, esecutivi di unità nazionale, maggioranze fragili. L’imperativo non era realizzare un programma specifico, ma “dire sì pur di non sparire”. Il potere non era il mezzo per attuare una visione, ma la ragione d’essere stessa del partito.

Ma le cose sono cambiate. Oggi, quella rendita si è consumata, gli elettori sono sempre meno e, soprattutto, il PD si trova “senza potere”. Non controlla più la macchina dello Stato, non decide più le nomine, non ha più l’influenza sulle poltrone che un tempo costituivano la sua linfa vitale. E senza quel potere, il partito appare come “un corpo in agonia”, non abituato a vivere senza la possibilità di spartirsi ruoli e posti.

Da qui la disperata strategia: “Devono resistere al governo per esistere”. La resistenza non è una tattica di opposizione costruttiva, ma l’unica manifestazione di vita rimasta.

 

Il “Vuoto Strategico” e l’Opposizione Sterile

 

La conseguenza più lampante di questa crisi identitaria è il “vuoto strategico”. Secondo Cacciari, il PD non ha una strategia, non ha una visione, né un programma politico credibile per il futuro. Non potendo proporre un’alternativa, l’unica narrazione possibile è la critica continua, il “Va tutto male” , una contestazione che avviene “a prescindere” dai fatti.

Questo è l’aspetto più deleterio per la democrazia. Cacciari osserva con indignazione che per il PD “ogni azione del governo è sbagliata a prescindere” [04:15], anche quando i dati raccontano una realtà positiva. Se l’economia migliora, se l’occupazione cresce, se i numeri smentiscono la narrazione catastrofista della sinistra, il PD non fa autocritica, ma si limita a “discutere dei numeri stessi, a contestare le fonti a insinuare che non siano affidabili”. Si arriva a “negare l’evidenza pur di mantenere viva una contrapposizione che giustifichi la loro presenza sulla scena politica” .

Questo atteggiamento, lungi dall’essere una prova di forza, è la prova definitiva della debolezza. Se un partito avesse una sua idea di futuro, potrebbe dire: “Ecco la nostra proposta alternativa” . Invece, limitandosi a dire che l’altro sbaglia, anche quando i risultati sembrano premiare l’esecutivo in carica, il PD non costruisce nulla, ma si condanna a una “opposizione sterile e di resistenza di facciata”.

 

Lo Specchio Inquietante di Cacciari

 

Massimo Cacciari, con il suo stile diretto e senza fronzoli , ha scoperchiato un vaso di Pandora che molti all’interno del PD cercano disperatamente di tenere chiuso. La sua non è la critica di un avversario politico, ma il severo giudizio di un intellettuale che guarda alla politica con lucidità e con il metro della storia.

E in quella lucidità, molti vedono una verità scomoda : la leadership, anche la più recente, non è riuscita a imprimere quella svolta identitaria che gli elettori chiedono. Il Partito Democratico, come ammette Cacciari, “non ha più un’anima, non ha più una missione chiara, non ha più una visione di lungo periodo” .

La domanda che resta sospesa nell’aria, e che il filosofo lascia in eredità al dibattito pubblico, è drammaticamente semplice: “Quanto potrà resistere ancora un partito che sembra vivere solo di resistenza? Quanto potrà durare una forza politica che si tiene insieme non per convinzioni comuni ma solo per la speranza di tornare a spartirsi il potere?” .

Le parole di Massimo Cacciari hanno messo il Partito Democratico davanti a uno specchio. E l’immagine riflessa, quella di un “insieme di avanzi” in agonia e privo di un progetto, non è affatto rassicurante. La crisi è aperta e, se non verrà affrontata con coraggio e una vera rifondazione programmatica, il destino della sinistra italiana rischia di essere segnato per molto tempo a venire. La sopravvivenza, a queste condizioni, si fa sempre più precaria, e la storia è maestra nel punire chi cerca di vivere di sola resistenza, ignorando l’urgenza di una rigenerazione profonda.

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