La Repubblica italiana è scossa da un terremoto istituzionale che va ben oltre la normale dialettica tra poteri dello Stato. Lo scontro frontale, quasi da fiction politica, che vede contrapposti il Governo di Giorgia Meloni, una parte della Magistratura e, nel mezzo, la figura di Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica, ha messo a nudo una crisi di fiducia e di equilibrio che rischia di logorare le fondamenta stesse della nostra democrazia. La posta in gioco non è la singola indagine, ma la supremazia dei poteri: chi governa davvero l’Italia?
Quello che è stato inizialmente descritto come un “battibecco” istituzionale si è rapidamente trasformato in un vero e proprio braccio di ferro. Al centro della contesa c’è un’espressione che è ormai diventata un mantra ossessivo nella retorica di Palazzo Chigi: “inchieste a orologeria”.
L’Accusa di Meloni: La Toga come Arma Politica
L’accusa lanciata da Giorgia Meloni è pesante e non ammette sfumature. La Premier ha puntato il dito contro una parte della Magistratura, dipingendola come un “cecchino” che agisce con una “chirurgica precisione”. Secondo questa tesi, le indagini giudiziarie non nascerebbero per puro caso o per il normale corso della legge, ma verrebbero “calibrate” e cronometrate per “esplodere nel momento politico più conveniente”, con l’obiettivo specifico di destabilizzare o minare l’esecutivo in carica. È un atto d’accusa che non mira solo ai singoli magistrati, ma che mette in discussione l’intero equilibrio istituzionale del Paese, suggerendo l’esistenza di una regia che coordina l’attività giudiziaria con quella politica.
Il caso del cittadino straniero Almasri è stato elevato a simbolo di questa presunta strumentalizzazione. L’importanza, in questa narrativa, non risiede tanto nel merito della vicenda giudiziaria in sé, quanto nel modo in cui l’inchiesta viene percepita e utilizzata. La narrazione del Governo dipinge uno scenario inquietante, quasi da deep state tricolore: un potere parallelo, non eletto e non sottoposto al vaglio democratico del voto, che agirebbe nell’ombra per influenzare il corso della politica. Per la base elettorale del centrodestra, questa narrazione mobilita il senso di accerchiamento e alimenta la convinzione che ciò che non si riesce a ribaltare con le urne si tenti di ribaltare con le inchieste.
La Reazione della Magistratura: Autonomia Non Negoziabile
La risposta del corpo giudiziario non si è fatta attendere ed è stata ferma, indignata e compatta. L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), attraverso il suo presidente Cesare Parodi, ha respinto ogni accusa con nettezza. La linea è chiara: la Magistratura è guidata “esclusivamente dalla legge e dalla Costituzione, punto e basta”.
Per i magistrati, l’accusa di “fare politica” è molto più che una semplice polemica: è un tentativo di minare la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto. Autonomia e indipendenza non sono considerate privilegi, ma condizioni imprescindibili per l’esercizio della giustizia. Essi sostengono che sollevare il sospetto di una politicizzazione delle toghe significa scavare un solco pericoloso tra i cittadini e la giustizia, il cui ruolo è di garantire l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge, inclusi i membri del Governo.
Il conflitto si accende proprio su questa divergenza di percezioni: da un lato, un Governo che si sente vittima di “aggressioni mirate”; dall’altro, un corpo giudiziario che si erge a difensore della propria legittimità e che rigetta l’idea di essere un “potere occulto”. Il rischio, come sottolineato dall’ANM, è che più i toni si alzano, più diventa difficile un ritorno a una dialettica costruttiva, trasformando un fisiologico check and balance in una rissa istituzionale permanente.
Mattarella e l’Intervento Controverso: Prudenza o Debolezza?
Nel mezzo di questo fuoco incrociato si colloca la figura del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il suo intervento è stato caratterizzato dalla consueta sobrietà e dalla scelta di un linguaggio felpato, quasi lapidario. Il messaggio era brevissimo e diretto: “abbassate i toni”.
Questa frase, pronunciata dal garante della Costituzione, ha immediatamente diviso l’opinione pubblica. Per una parte degli osservatori e dei cittadini, è stato un saggio richiamo alla calma e alla responsabilità, l’intervento necessario di un arbitro che chiede disciplina in un momento di tensione altissima. L’intento del Colle era evidentemente quello di disinnescare lo scontro, di raffreddare il clima senza prendere esplicitamente posizione a favore di uno dei contendenti.
Per un’altra parte dell’opinione pubblica, tuttavia, la reazione è stata giudicata “tiepida” e insufficiente di fronte a quella che viene percepita come una vera e propria “crisi costituzionale”. La domanda sorge spontanea: la scelta di Mattarella è dettata da prudenza istituzionale o da una silenziosa debolezza? Il Presidente ha scelto di restare sul filo sottilissimo che separa il garante della Costituzione dal protagonista politico. Troppa riservatezza, tuttavia, rischia di essere interpretata come indifferenza o, peggio, come l’incapacità di intervenire con la necessaria fermezza quando l’equilibrio tra i poteri è minacciato. Al contrario, troppa fermezza rischierebbe di essere letta come ingerenza politica.
Il ruolo di Mattarella, cruciale in questo momento, è messo in discussione proprio dalla natura della crisi. La Costituzione lo assegna a un ruolo di garante, ma cosa succede quando la “partita” tra i poteri si trasforma in “rissa”? Il suo silenzio e la sua prudenza possono essere letti come la scelta di un arbitro che non vuole sporcare il gioco, ma il paese intero osserva e il clima politico continua ad appesantirsi.
Il Fantasma del Deep State Tricolore
La crisi istituzionale si nutre di una percezione che va oltre i fatti: l’immagine del “deep state tricolore”. Non si tratta qui di avallare teorie complottiste da film, ma di analizzare la diffusione della sensazione che esistano “poteri occulti”, “corridoi grigi” e “archivi infiniti” dove qualcuno, non eletto e non visibile, decida il destino di un Governo manipolando i tempi di rilascio di certe notizie.
La domanda retorica che alimenta questa sensazione è devastante: perché certi scandali e inchieste che coinvolgono la politica sembrano esplodere sempre e solo quando al governo c’è il centrodestra? È pura coincidenza statistica o, come suggerisce la narrativa governativa, c’è una regia dietro? La mancanza di una risposta definitiva alimenta l’opacità e logora inesorabilmente la fiducia. Quando la toga sembra scrivere una sceneggiatura da distribuire al momento più opportuno, il cittadino perde la bussola e inizia a dubitare dell’imparzialità dello Stato.
La Posta in Gioco: La Credibilità dello Stato
La posta in gioco in questo scontro non potrebbe essere più alta. Non è solo un braccio di ferro interno alla politica, ma un attacco diretto alla credibilità dello Stato. Se i cittadini iniziano a credere che la giustizia è politicizzata o che la politica cerca di delegittimare la giustizia, il pilastro fondamentale della democrazia – la fiducia nelle istituzioni – rischia di crollare.
Un conflitto prolungato tra Governo e Magistratura comporta conseguenze drammatiche per il Paese. Rallenta l’azione politica, crea incertezza giuridica per gli investitori e, cosa più grave, allontana i cittadini dalla partecipazione democratica, aumentando l’apatia e il cinismo. Alla fine, chi paga il prezzo di questa battaglia non sono i politici, non i magistrati e nemmeno il Colle: a pagare siamo noi cittadini, costretti a vivere in un Paese dove l’instabilità e la sfiducia rischiano di diventare la normalità.
Perché il sistema democratico possa sopravvivere a questa tempesta, è fondamentale ripristinare il confine che si è fatto troppo sfumato: la giustizia deve restare indipendente, la politica deve essere responsabile nel criticare ma non delegittimare, e il Presidente della Repubblica deve continuare a garantire un equilibrio che, oggi più che mai, sembra precario. La domanda rimane: questa è una fase passeggera di assestamento o l’inizio di una nuova stagione in cui il confine tra toga e politica si dissolve? La risposta a questa domanda deciderà il futuro della Repubblica.